Tradizioni

  • FESTA DELLE LUCERNE

 

 

Una festa particolare quella delle Lucerne,  la cui ricorrenza cade ogni quattro anni, il cinque di agosto, giorno dedicato dalla Chiesa alla Madonna della Neve. Una festa particolare perché ricca di fascino, con identità popolare. Già, infatti, il ricorso ad un termine demodé, per denominare una minuscola sorgente di luce, impone un immediato salto nel passato. La lucerna era una lampada di uso domestico, che assolveva, però, anche ad una funzione liturgica e votiva. Nelle catacombe era usata dai primi cristiani, per l’illuminazione dei luoghi di culto e per un tributo d’onore alla divinità. Nel linguaggio ascetico il termine lucerna era ed è sinonimo di luce suprema, purezza e verità; nel linguaggio figurato, invece, resta sinonimo di guida morale. Nella cultura popolare lucerna sta per organo sessuale maschile e femminile ma la lucerna è anche figurazione del lumino cimiteriale, è anche espressione di fuochi fatui. È sicuramente un fuoco intenso, nella cultura popolare, come un legame tra la vita e la morte. È il ritorno dei morti alla vita, attraverso il rito dell’inseminazione: quello tramandato dagli antichi Romani, che facevano l’amore sulle tombe dei loro defunti, o dagli Etruschi e dai Frigi, che abbellivano le tombe dei loro morti con falli che ne conservano la potenza sessuale anche nell’altra vita. La lucerna, infine, significa la vita stessa dell’individuo. Nella fiaba “Il guardiano delle lucerne”, Angelo Di Mauro  fa dire al suo personaggio -il guardiano, appunto-, nel mentre si rivolge ad un uomo, che, dopo aver guardato la propria lucerna ormai agli sgoccioli, lo aveva invitato a rigenerarla,No, non è possibile. Il mio compito qui è proprio questo. Questa è la porzione d’olio assegnata. Quando si consuma, si deve morire”.

 

 

  • FESTE DELLA MONTAGNA

Straordinaria festa civile e religiosa, frutto di sovrapposizioni cristiane su più arcaiche forme di religiosità connesse, a loro volta, all’inizio del ciclo del raccolto.
La manifestazione, anche nota come “Festa di Castello” o “Festa di Divozione”, ha inizio con il c.d. Sabato dei Fuochi (il primo sabato dopo Pasqua) ed interessa la Città di Somma Vesuviana assieme agli altri comuni della fascia pedemontana del Monte Somma, tutti più o meno colpiti dagli effetti di fenomeni eruttivi del passato e quindi interessati ad una festa che, tra i tanti significati reconditi, ha probabilmente anche quello di esorcizzare i timori derivanti dalla presenza incombente del vulcano.

Il periodo dei festeggiamenti, infatti, comincia e finisce con una grande corona di fuochi. Questi ultimi sono accesi per celebrare il ritrovamento della testa lignea della c.d. Madonna del Castello (oggi esposta presso l’omonimo santuario). La scultura originale fu portata a Somma da Carlo Carafa nel 1622, ma il corpo della stessa andò disperso a seguito della rovinosa eruzione del 1631. Ogni comunità cittadina (paranza) ha un proprio giorno dedicato, durante il quale può espletare i rituali della festa: la visita al santuario, il sontuoso banchetto, i balli e le tammurriate, l’affascinante canto a figliola, la preparazione della pertica e, infine, sul far della sera, l’accensione dei fuochi.

Tutte le fasi della festa sono cariche di simbolismi e si configurano come rappresentazioni moderne d’antichi riti praticati per conquistare il favore della divinità. Il banchetto, in particolare, appare legato ad arcaiche forme di religiosità tese ad assicurare un buon raccolto. La gran quantità delle libagioni e il protrarsi del pranzo lungo l’arco di molte ore, sono pratiche palesemente collegate ad un antico rituale dell’abbondanza.

Interessante anche il rito della preparazione della pertica, che si pratica soprattutto il 3 maggio, ultimo giorno dei festeggiamenti. 
Esso consiste nel taglio di un giovane alberello di castagno che è successivamente liberato da tutte le fronde. In coincidenza di ciascun ramo tagliato si fa attenzione a lasciare una piccola sporgenza legnosa (curnecchia). Alle sporgenze così ottenute, dopo aver addobbato la pertica con fiori e rami di ginestra, si appendono piede e muso di vaccino lesso (‘o pere e ‘o musso), collane fatte di nocciole (‘a ntrita) o castagne (‘a nserta), l’immagine della Madonna di Castello (a’ fiurella) e fiocchi di carta crespata e colorata. Terminata l’opera, l’autore la porta a valle, dedicandola all’immagine della Madonna del Castello, ovvero regalandola alla propria compagna. Nella pratica appena descritta si è soliti individuare una simbologia fallica, propiziatrice della fecondità della terra. Anche i balli, ricchi d’inusuali movenze ed intrecci sensuali, sembrerebbero essere collegati allo stesso filone dei riti propiziatori della fecondità.

Altra caratteristica peculiare della festa è data dal fatto che l’ascesa al monte, o al santuario, costituisce raramente un’esperienza individuale. E’ con la paranza (il tradizionale gruppo d’appartenenza) che si raggiunge il santuario e successivamente si risale il Monte. Alcune comitive raggiungono all’alba la cima del Somma e ne discendono a notte alta, altre si distribuiscono tra i boschi e i profondi valloni che incidono i fianchi del vulcano.