Sculture

SCULTURE IN LEGNO DELLE CHIESE DI SOMMA

 

Il breve saggio, apparso sul numero precedente di SUMMANA e riguardante il coro ligneo della Collegiata, ha consentito di mettere in luce un altro importante spaccato dell’arte sacra a Somma: la plastica lignea.
Per altro verso, sono questi i termini che accomuna ­ statue, porte, portelle, confessionali, scranni, sedili, pulpiti, rivestimenti di organi e soffitti.
Evidentemente la pluralità di questo insieme di beni costituisce un vero tesoro di valori culturali pur sempre esposti a malversazioni di ogni provenienza . 
Sotto quest’aspetto ci occuperemo, innanzitutto, dei simulacri che si trovano nelle varie chiese di Somma, pur superando, come già è stato fatto per altri studi fondamentali in materia, la diffusa prevenzione circa una scultura lignea a sé stante, quasi popolaresca o rustico sottoprodotto della scultura in marmo o in bronzo. 
Tanto premesso, occorre segnalare la peculiarità di queste statue, la portata di messaggi religiosi tali da consentire l’insorgere di complesse forme della pietà popolare; tuttavia, esse vanno considerate proprio in funzione dell’assoluta risposta di catechesi, che ancora sapranno dare. ·
Evidentemente, a prescindere della loro forma estetica, per uno studio integrale della loro portata occorre sempre considera re la funzione precipua dell’oggetto di venerazione, non perché si creda che in ognuna di esse sia presente una divinità o potenza, ma solo in quanto si pongono come prototipi visibili dell’immagine invisibile. 
Non di meno, quest i simulacri delle chiese di Somma, per la loro palesa adesione alla socio-cultura dell’entroterra vesuviana, potranno essere oggetto di un’attenta analisi filologica, cercando, soprattutto, di produrre contributi a riguardo dei rapporti culturali intercorsi tra Somma e la Capitale.
Per restare nell’ambito che ci siamo proposto, quale rilettura più ampia dell’ottica di studio storico-artistico , occorre considerare alcune premesse, cosi come recentemente ha rilevato Borrelli : a Napoli, principale centro di produzione per l’intero Meridione nel Seicento e Settecento, si formarono numerose botteghe specializzate, proprio per materia. E che in relazione a questa “specializzazione” (fa scultura in legno) sarebbe opportuno immaginare, dopo aver cominciato a sistematizzare fa gran mole di esemplari ancora esistenti, un tipo di ricerca “sociale’; in cui si approfondisse fa storia dei culti nelle campagne, quale sede elettiva della diffusione di questi manufatti…
Cosicché, i diretti autori delle statue lignee di Somma, finora indicati come anonimo scultore napoletano, non potranno essere considerati semplicemente modesti intaglia tori.
Ma certamente quali sono: scultori in possesso di spiccate prerogative d’organicità alle esigenze della committenza clericale, fino a disporre di una solida conoscenza dell’iconografia cristiana e assolutamente padroni del linguaggio artistico napoletano.
Di sicuro, pur nei limiti dovuti, la notevole vivacità creativa di questi scultori, sarà consistita nell’eludere l’obbligo dei rigori iconografici e rendere l’immagine sacra in una visione del tutto terrena,  cosi ricca d’immediatezza narrativa e con accentua ti spunti elegiaci, assai vicino all’immaginario religioso collettivo.
In primo luogo, occorre ribadire che i contenuti di questi simulacri lignei risultano in gran parte dì­ pendenti dalla cultura contadina vesuviana, tanto è che spesso l’immagine del santo appare simile a un popolano, senza alcun segno di regalità celeste.
Nondimeno, come principio d’approccio a queste opere, occorre tener in debito conto la peculiarità tecnica della scultura in legno, una tra le più antiche attività artistiche praticate dall’uomo.
E per quanto riguarda, ci accingiamo a declinare le varie fasi di metodologia tecnica della plastica lignea. La figura viene, con prevalenza, concepita a tutto tondo e ricavata attraverso una lunga serie di operazio­ni, con l’impiego, in successione, di diversi attrezzi: la sega per ottenere il blocco di base, il trapano per segnare i punti iniziali del disegno, lo scalpello per modellarne le forme e infine un’ultima mano con raspe
e lime a diversa grana.


Alla fine, per ottenere i preziosi effetti di superficie compatta e levigata (come si possono notare nelle parti più in vista, quale l’anatomia delle figure) vengono impiegate, oltre alle lime sempre più fini, sabbia e pasta abrasiva.
E in un secondo momento la fase della patinatura, la coltre pittorica, per la quale occorrono pigmenti in polvere tratta ti con specifici solventi di gommalacca e olio di lino.
In realtà, per la tutela di questo patrimonio artistico, bisogna sapere che occorre molto rigore, competenza e soprattutto scientificità a riguardo degli interventi di restauro.
Dunque anche a Somma, in alcuni casi si rileva la poca attenzione per la coltre cromatica delle statue

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Pianta della chiesa Collegiata con ubicazione delle opere d’arte. (a cura di Raffaele D’Avino), in quanto diverse volte si è volgarmente pro­ceduto ad applicare spessi strati di colore, credendo di “rinfrescare” o restaurare le venerate immagini, così tanto non conforme all’originaria cromia, tanto da vanificarne la portata di messaggio religioso del “mal capitato” simulacro.
E del resto sarà bene rilevare, pur senza invadere il campo del restauro (in quanto esula dalle nostre competenze), la necessità di ripristino dello stato dei luoghi in cui sono installate queste statue, poiché ci risultano soventemente alterati, sia per la progressiva modifica delle originarie modanature architettoniche e sia per l’invasione di posticci arredi sacri e improprie nuove immagini religiose.
Pertanto, lo specifico intervento di restauro, do­vrebbe consistere in recupero del “segno ba rocco”, quale assoluta risorsa ornamentale dei luoghi sacri di Somma.
Cosi, pur sempre nel rispetto di un rigore filolo­gico, incominciamo questo studio partendo da una delle più antiche sculture in legno che si possano an­noverare nella città di Somma: il San Giuseppe, della monumentale chiesa di S. Maria del Pozzo.
Di quest’opera, restaurata e attualmente ben cu­stodita nel salone delle conferenze della sede vescovile di Nola, ci rifacciamo alla rigorosa monografia di Ferdinando Bologna e Raffaello Causa, Catalogo della Mostra Scultura lignea nella Campania.

E per maggiore precisazione riportiamo integralmente il testo della relativa scheda:
CRISTIANO MOCCIA.
SAN GIUSEPPE.
Dalla chiesa di S., Maria del Pozzo, Somma Vesuviana. Legno, altezza cm. 1,40
Si è provveduto alla pulitura del volto grossolanamente ridipinto, l’attuale policromia è quella antica..
E’ la sola figura superstite di un presepe distrutto nell’in­cendio che devastò la chiesa di S. Maria del Pozzo negli ultimi anni dell’Ottocento, copia letterale del San Giuseppe di Pietro Be/verte, nel Presepe della chiesa di San Domenico Maggiore di Napoli, del 1507.( 5)
Del modestissimo Moccia, intagliatore di provincia, i documenti (B. 22) attestano una attività tra il ’16 e il ’49. Quest’opera è l’unica scultura identificata dell’artista e cer­tamente non ha altro valore se non quello di testimoniare la immiserita sopravvivenza di modi quattrocenteschi nella prima metà del secolo nuovo.
Di questo presepe è data la notizia in un documento del 1518, anno nel quale l’opera si dice già eseguita.
In primo luogo occorre rilevare l’importanza di
questa statua riferendola al presepe che si trovava nel complesso conventuale francescano di S. Maria del Pozzo, in quanto ci riporta alle origini della tradizione presepiale locale.
Vero è che, partendo dal prototipo di presepe originario dalla spiritualità del “Poverello d’Assisi”, appunto i PP. Francescani di Somma costituivano, al tempo testa di ponte tra la Capitale e l’area vesuviana.


La portata storico-artistica-sociologica dell’ormai distrutto presepe di Santa Maria del Pozzo, per Somma, costituisce una non trascurabile presenza di cultura tar­do-rinascimentale, ma soprattutto per l’immaginario religioso locale, un’affascinante occasione di veicolare principi fondamentali della fede cristiana.
Per questo, il gruppo scultoreo era composto da figure in legno policrome, a grandezza naturale, comprendente le tre immagini fondamentali: Maria, Giuseppe e Gesù Bambino. 
Però, da un’attenta analisi formale del superstite “San Giuseppe”, possiamo rilevare l’effettiva portata estetica di questo presepe.
Procediamo così con ordine alla lettura: la figura si presenta molto variata nei volumi e si evince subi­to come l’artista, abilmente, ha saputo plasmare la materia – il legno – in un linguaggio formale proprio della Maniera.
La figura di Giuseppe veste una tunica e un lungo mantello sulle spalle e ha il busto lievemente torto e le gambe entrambe piegate in ginocchio, ma soprattutto variamente articolate, quella di destra rivolta indietro e quella di sinistra sporgente in avanti.
Lo stesso ritmo scandisce gli arti superiori, in una forma ancora più pregnante di valori simbolici, il braccio di destro è stretto al fianco e l’altro riportato verso la testa
In tale contesto strutturale, molto signifìcativa
è la portata simbolica dei gesti compiuti dalle due corrispettive mani: la destra (purtroppo distrutta) reca l’attributo più emblematico di San Giuseppe, un bastone fiorito dal quale si sviluppava il giglio, come segno significante della sua “verginità”.
E per suo conto, la mano destra portata alla fron­te, costituisce un motivo iconografico ricorrente al medioevo, per il quale l’immagine di San Giuseppe, attraverso uno spiccato senso di realismo, comunica una legittima preoccupazione a riguardo del gravoso compito che gli spetta nel condurre salva la famiglia, esula in Egitto.
Inoltre, per quanto riguarda, una possibile datazione di quest’opera, attendibile è l’autorevolmente riferimento, formulato dal Bologna, al!’opera dello scultore bergamasco Pietro Belverte, tanto attivo a Napoli nel campo della plastica in legno.
Eppure avente operato soltanto in ambito cittadino o provinciale, anche quest’opera periferica rivela le stesse eccezionali qualità stilistiche.
Per restare intanto all’ambito degli studi riguar­danti la scultura in legno ci occuperemo di un’altra,

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Interessante opera che si trova a Somma, il Cristo morto
della Collegiata ( seconda cappella a sinistra).
In realtà questa scultura documenta un gusto dif­fusissimo a Napoli, che era venuto a svilupparsi lungo tutto il Seicento, trovando origine in un certo pietismo esasperato di provenienza iberica.
Cosicché la figura scolpita del corpo morto di Cristo, a grandezza naturale, è stata concepita giacente e distesa con le braccia inerte lungo il corpo vestito soltanto del perizoma e coperto da molte ferite san­guinolente.
In tal modo, ci troviamo di fronte ad uno specifico simulacro, che trae origine iconografica dal cosiddetto “Gruppo della Deposizione”: un soggetto figurativo conseguente alla rapida diffusione, a partire dalla seconda metà dei XII secolo, soprattutto nella cultura religiosa occidentale, con l’affermarsi delle celebrazioni del Drama Pascalis. 
E in origine, questo prototipo iconografico, era composto da un gruppo di tre figure: “Cristo croci­fisso” al centro e ai lati i “Dolenti”, la Vergine e San Giovanni Evangelista
In seguito, questo modello iconografico, addivenne alla rappresentazione di un altro aspetto altrettanto significativo del momento della” deposizione di Cri­sto dalla croce”, aggiungendovi altre due significative figure: Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo con rimandi ai testi apocrifi. 
Inoltre, per comprendere la notevole interazione di quest’opera alla cultura religiosa in età barocca ci riferi­remo ad un attento studio di G. C. Argan, nel quale tra altro ha osservato: la Chiesa cattolica, attraverso l’esperienza figurativa, aprendo la via dell’immaginazione intraprese non solo una vasta e profonda riforma dell’iconografia tradizionale, ma seppe al tempo stesso, opportunamente avvalorare la diffusa
coscienza che si potesse giungere alla salvezza anche vivendo la vita del mondo. Accettando quindi la stessa sensazione fisica dell’immagine materiale (e aggiungerei il linguaggio della plastica lignea ) come strumento sufficiente all’intelligenza o percezione dell’infinito disegno divino. 
Cosi, l’installazione del “Cristo deposto” alla Collegiata, appunto nella nicchia ricavata nella base del!’altare della cappella di pertinenza della Confrater­nita del Pio Monte della Morte, consiste in una palese conferma di queste osservazioni.
E senza dubbio, questo particolare spazio sacro, venutosi a creare nella Collegiata, in virtù del simu­lacro del Cristo morto, è fin dal principio funzionale all’obbligo statutario imposto ai congregati.
Di celebrare “Missa pro defunctis”, cosi come si evince al cap. 7 il primo mercoledì di ogni mese (..) i fratelli di d.a Compagnia debbanofar cantare una messa da requiem per le anime degli già morti fratelli et sorelle nella chiesa della Collegiata con la libera intorno al cataletto. 

⦁ Giuseppe di Cristiano Moccia eia S. Maria del Pozzo (Foto R D’Avino)

Di conseguenza a queste motivazioni culturali, a Somma, il diffondersi del culto al cosiddetto Deposto, la committenza di questa scultura lignea sarà consistita in una tangibile scelta di voler rappresentare il momento di quando Cristo venne deposto dalla Croce e collocato nel sepolcro.
Infine occorre ancora un’altra considerazione, a convalida di quanto s’è detto, a Somma, nel corso della tradizionale processione del “Venerdì santo” viene a prodursi un particolare momento della spiritualità collettiva, riferito alla Passione, tanto da consentire la massima efficienza d’ostentazione della scultura lignea del Cristo morto.

Secondo questo criterio: proceduto dal clero appare infine i/ simulacro de/f Addo/orata che ha ai suoi piedi il di­vino Figliuolo deposto dalla croce, simbolo insieme di dolore e di speranza. 
Del resto occorre precisare che, per questa manife­stazione religiosa, senza forte disparità, viene impiegata u n’altra simile scultura: si tratta di una tarda replica del “Cristo morto” , più rispondente alla mobilità di un ampio corteo di fedeli.